Contro la teletteratura, racconti brevi.
giulio ferroni, scritture a perdere. la letteratura negli anni zero, 2010, Editori Laterza
Bah, alla fine non saprei dire. Comunque è come aspettare Godot.
Si scrive tanto e male, questa non è una novità, e il prof Ferroni, non rinuncia a dogliarsene cercando di riaccendere la polemica con un pamphlet appena uscito per Laterza.
Senza fare troppa accademia, spara a zero, facendo nomi e cognomi. Baricco, Mazzantini, Wu Ming, Paolo Giordano e altri, tutti autori “blasonati”, che non sono scrittori, ma produttori di teletteratura (il neologismo infame è mio non di Ferroni, ndr). I telescrittori (o telescriventi?) usano tecniche ormai consolidate e canonizzate dalla produzione televisiva e plurimediale, frutto dell’industria culturale. Di questa produzione e consumo di massa ne ereditano e sublimano vizi ed in qualche caso le poche virtù (E’ l’industria culturale, bellezza, e tu non ci puoi fare niente. niente!). Basta affermare con forza che non stiamo parlando di letteratura ed il gioco è fatto. Serialità, spettacolarizzazione dalla narrativa di genere (il noir in particolare) si estendono a quella generalista, appiattiscono lo stile, svuotano di senso l’opera tanto che il travaso nell’empireo della fiction e del cinema è pressoché immediato. La scrittura che si dispone “in un orizzonte di spettacolo”, specie quella Romanzesca, fa “leva su elementi di tipo esterno” che la rendono vuoto a perdere. Non è una novità. Val la pena allora non tanto censurare l’ovvio quanto cercare di ritrovare quello che si è perso. Dove sono le lettere?
Se la Tv ha decretato la fine del romanzo inteso come oggetto letterario a resuscitarlo non saranno di certo internet e le varie realtà virtuali e multimediali, secondo Ferroni. Le “magnifiche sorti e progressive” delle letteratura affidate all’informatica e alla rete conducono solo ad un radicalismo teorico chiuso in se stesso. Conventicole, extra accademiche magari ma pur sempre conventicole, che “evitano accuratamente di interrogare i caratteri del mondo (anche quando pretendono di metterlo in questione o credono di cavalcarne le tendenze) (p.35). E questo spiega come in fondo la voce del professor Ferroni non desti scandalo e sdegno in nessuno dei protagonisti della teletterattura e nessuno di loro si degna mai di rispondere piccato o meno. L’unico che ci ha provato è stato Baricco nel 2006 , rimediando una figuraccia per non aver letto le recensioni di Ferroni. La regola numero uno è lasciare fuori dal dominio in questione la voce “contro”, i telelettori, del prof Ferroni, non avranno mai notizia.
Se spegniamo il romanzo cosa resta alla letteratura? Secondo Ferroni il racconto breve, la cui misura è forse la più idonea a “dire il presente” e quella forma ibrida denominata “autofiction” che forza i limiti del romanzo, della biografia e del saggio, fondendoli in una nuova forma (Gomorra docet) e di cui si intravvedono i “natali” nella Recherche Proustiana (ma si potrebbe dire di Céline, forse) e più recentemente in un libro di Pierre Minchon , les Vies minuscoles, non ancora tradotto in italiano. Per non saper ne leggere ne scrivere e per farsi un’idea di dove vanno le lettere val la pena affidarsi alla lista della spesa proposta nell’ultimo capitolo da Ferroni. Giovanni Martini, “La Nostra Presenza“, Francesco Pecoraro, Dove credi di andare, Silvana Grasso, Pazza è la Luna, Andrea Carraro e Giorgio Falco per i racconti; Antonio Pascale, Gabriele Pedullà, Vitaliano Trevisan, Antonio Tabucchi e a la Parrella ( Borderline con la teleletteratura) e Arbasino e qulchedun altro.
Certo tenersi fuori dalla velocità distruttiva che ha preso l’industria culturale o meglio raccontarla tenendo fuori il suo prodotto è difficile, anche la libreria di Ferroni è nutrita.
Che fare, allora? Torna quindi in ballo la responsabilità, soprattutto dell’autore: responsabilità civile per assicurare alla società un futuro oltre la produzione ed il consumo di massa, per assicurarle un destino partendo da una negazione forte del modo di agire attuale.
Se il dibattito si estendesse non sarebbe male. La Pamphlettistica, va detto, è una raffinata e storicamente collaudata tecnica di marketing, oltre che un ottimo strumento di dibattito culturale.
Intanto per prepararsi, prima di sparare, sarà il caso di leggere il Prof Ferroni, più approfonditamente, visto che le sue riflessioni vanno avanti dagli anni 90 ed il dibattito in generale da un po prima (Baudrillard, Fortini ecc..) . Per averne uno sguardo di insieme però, leggere “Dopo la fine. Una letteratura possibile”
Il problema è che le tesi di Ferroni si possono applicare anche alla critica letteraria oltre che alla letteratura, anch’essa ridotta a puro “spot”.
http://www.nazioneindiana.com/2010/06/16/%E2%80%9Cla-co…
http://www.ospiteingrato.org/Arretrati/arretrati_04_01.…
Bah, magari quelli di nazioneindiana gli vorranno mandare le 10 domande.
Il Gusto della polemica letteraria, accapigliandosi, aumenta il dramma, è uno spettacolo.
colophon
«Oggi assistiamo al paradosso di una letteratura che si moltiplica e contemporaneamente arretra, assediata dall’impero dei media, dalla vacuità della comunicazione, dalla degradazione del linguaggio e della vita civile.»
Sottrarre anziché accumulare, ritrovare la passione e la bellezza dell’essenziale. Scrivere di meno, scrivere meglio. «Insieme ad una radicale ecologia dell’ambiente fisico abbiamo sempre più bisogno di un’ecologia della comunicazione, che agisca come ecologia della mente, che liberi le nostre menti dagli scarti infiniti che le tengono in ogni momento sotto assedio, con una variegata catena di manipolazioni a cui ben pochi arrivano a resistere. Ed è sempre più necessaria un’ecologia del libro e della letteratura, capace di operare distinzioni nell’immenso accumulo del materiale librario prodotto».